BREVE NOTA BIOGRAFICA DI PAOLO BUCHIGNANI
Paolo Buchignani è uno storico del ‘900, già docente di Storia Contemporanea presso l’Università per Stranieri «Dante Alighieri» di Reggio Calabria. Dal gennaio 2023 è socio ordinario per la Classe di Lettere dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti. A partire dalle sue prime ricerche sulle avanguardie letterarie e politiche dell’età giolittiana e su alcune figure di intellettuali sovversivi del ventennio fascista, come Marcello Gallian e Berto Ricci, lo studioso lucchese ha progressivamente esteso il suo campo d’indagine: dapprima ricostruendo tutta l’ampia e complessa vicenda del fascismo rivoluzionario negli anni del regime, nonché quella di alcune componenti del reducismo salotino nei loro rapporti con il partito comunista. Successivamente, Buchignani si è dedicato all’esame del mito della rivoluzione nelle diverse culture politiche post-unitarie e novecentesche. Un mito utilizzato come chiave di lettura originale per comprendere gli sviluppi e le contraddizioni della storia italiana dall’unificazione all’ultimo scorcio del XX secolo, comprese le molteplici e mutevoli interpretazioni del Risorgimento e dell’unità d’Italia. Dalla rivoluzione, la sua indagine si è spostata al tema della nazione, che sovente alla prima strettamente si lega per contiguità o contrapposizione, con il popolo che le unisce, costituendo tra di esse una sorta di intersezione. Di qui i successivi studi su nazionalismo e populismo, autoritarismo e totalitarismo in alcune formazioni politiche e forme di Stato dagli esordi del ‘900 fino ai nostri giorni. Per ora si è trattato di alcuni saggi, pubblicati su riviste scientifiche o in Atti di Convegni, preludio ad un lavoro più organico.
La sua produzione scientifica, pubblicata con editori a diffusione nazionale, è stata oggetto (in particolare i volumi usciti presso Il Mulino, Mondadori e Marsilio) di attenzione e dibattito nel mondo accademico e sulla stampa.
Già collaboratore di “Storia Contemporanea”, Buchignani collabora attualmente a “Nuova Storia Contemporanea”, a “Nuova Rivista Storica” e, saltuariamente, alla pagina culturale di alcuni quotidiani. Fa parte del Comitato scientifico del Réseau pour l’étude des théories du complot (Universités de Tòulon et de Poitiers, Università di Firenze), del Comitato Scientifico del Premio Anassilaos di Reggio Calabria, del Comitato scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca, del Comitato Scientifico della Collana Politica, Storia e Società della Casa Editrice Licosia. Alle pubblicazioni di carattere saggistico, si affianca l’attività di scrittura creativa. Una dimensione, per certi versi, complementare alla prima, in quanto consente a Buchignani d’indagare quell’impatto della storia sulle vicende individuali e sui vissuti personali che rimane in ombra nel lavoro scientifico Tra i suoi libri di saggistica: Un fascismo impossibile. L’eresia di Berto Ricci nella cultura del ventennio, Bologna, il Mulino, 1994 (Premio Luigi Russo, ’94); Fascisti rossi. Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-53, Milano, Mondadori, 1998 (poi in Oscar Mondadori, 2007); La rivoluzione in camicia nera. Dalle origini al 25 luglio 1943, Milano, Mondadori, 2006 (poi in Oscar Mondadori 2007; finalista Premio Acqui Storia 2007); Ribelli d’Italia. Il sogno della rivoluzione da Mazzini alle Brigate rosse, Venezia, Marsilio, 2017 (Premio Anassilaos 2017; Primo Premio Casentino 2018; Premio Firenze (del presidente) 2018, finalista Premio Acqui Storia 2017). Come scrittore di romanzi e racconti storici, segnalato a suo tempo da Geno Pampaloni, Romano Bilenchi e Mario Tobino, Buchignani ha pubblicato diversi volumi: si ricordano, in particolare,Solleone di guerra, racconti, prefazione di Carlo Lizzani, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2008, (segnalazione d’onore Premio Firenze 2008); Il santo maledetto, Bologna, Meridiano Zero, 2014 (Primo Premio Casentino 2015); L’orma dei passi perduti, Lucca, Tra Le Righe, 2021, (proposto al Premio Strega 2022); La spilla d’oro. Memorie da un secolo sterminato, Roma, Arcadia Edizioni, 2024, (proposto al Premio Strega 2024).
SINOSSI RELATIVE AD ALCUNI LIBRI DI PAOLO BUCHIGNANI
Saggistica
- UN FASCISMO IMPOSSIBILE, L’eresia di Berto Ricci nella cultura del Ventennio, Bologna, il Mulino, 1994.
Si tratta di una monografia dedicata all’intellettuale Berto Ricci, definito da Indro Montanelli “il solo maestro di carattere ch’io abbia trovato in Italia”. Nato a Firenze nel 1905 e morto nel 1941 in uno scontro bellico, poeta, matematico e rivoluzionario, Ricci costituisce in effetti un’immagine sintetica e contraddittoria della cultura del Ventennio. Dapprima anarchico e appassionato lettore di Stirner e Sorel, egli diviene poi antifascista intransigente sino al 1925, e infine mussoliniano e strapaesano già nel ’27, benché non sia convinto della politica del regime che si va consolidando e abbia difficoltà ad ottenere la tessera del Pnf, inizialmente rifiutatagli da Alessandro Pavolini. Così, sulla base di una spiccata vocazione alla letteratura e alla politica appresa alla scuola vociana e non senza l’aiuto amichevole di Enrico Vallecchi, presso la cui casa editrice conosce i protagonisti della cultura fiorentina (Soffici, Papini, Rosai, Maccari, Pellizzi), Ricci collabora al “Selvaggio”, al Popolo d’Italia”, a “Critica fascista” di Bottai, e fonda “Il Rosai” e “L’Universale” (1931-1935). Rivista, quest’ultima, di particolare interesse, in cui, attraverso articoli di politica culturale, di letteratura e di costume, il pubblicista fiorentino teorizza una svolta antiborghese proprio negli anni dell’impero: cercando di sconfiggere il sogno regressivo di Strapaese, Ricci plasma in realtà un’idea politico-culturale che si oppone alla civiltà capitalistica e offre una risposta originale al processo di modernizzazione in atto all’inizio degli anni Trenta. Nel suo “fascismo impossibile”, sorvegliato dalla stima ostile di Mussolini, si sintetizza dunque un’avventura politica e culturale comune agli altri amici di Ricci, da Dino Garrone e Romano Bilenchi a Indro Montanelli e Luigi Bartolini, ma anche ad altri giovani intellettuali ugualmente “fascisti rivoluzionari”, come essi amavano definirsi.
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FASCISTI ROSSI. Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-53, Milano, Mondadori, 1998 (Oscar Mondadori 2007)
«Fascisti rossi», «fascisti comunisti», «camicie nere di Togliatti». Li chiamano così, tra gli anni ’40 e ’50 del ‘900, gli avversari politici. Loro si definiscono «ex fascisti di sinistra della corrente di “Pensiero Nazionale”». Provengono dalla Repubblica sociale italiana, alla quale hanno aderito credendo che essa avrebbe segnato un ritorno al fascismo repubblicano e socialista delle origini. Dopo l’ultima amara delusione consumata nell’esercito di Salò, respingono le posizioni nostalgiche e reazionarie del neofascismo e del Msi, individuando nel Pci il referente politico più idoneo e affidabile per realizzare quella rivoluzione popolare e anticapitalistica inseguita invano nelle file della repubblica nera.
Il movimento politico cui danno vita fa capo a Stanis Ruinas, il quale, in sintonia col suo passato sovversivismo mussoliniano (che non rinnega), intende proseguire, nel secondo dopoguerra, attraverso “Il Pensiero Nazionale” – periodico da lui fondato nel 1947 – la sua antica battaglia antiborghese, ora a fianco dei comunisti, con cui aspira ad allearsi in nome della rivoluzione, del socialismo, della patria minacciata dagli «invasori angloamericani».
L’alleanza non decolla (le condizioni politiche non ci sono: si è appena conclusa una sanguinosa guerra civile), ma il PCI, nel quadro della strategia togliattiana di reclutamento degli ex fascisti, intende cripticamente utilizzare, per un certo periodo, fino al 1953, la pattuglia capeggiata da Ruinas come strumento per traghettare i reduci salotini verso le su sponde.
Questo libro ricostruisce il rapporto, in apparenza impossibile, che si creò tra il gruppo di “Pensiero Nazionale” e i dirigenti di Botteghe Oscure. Riportare alla luce questa vicenda della nostra storia, rimasta a lungo ignota, sconvolge forse schemi consolidati e rassicuranti – per esempio quello dell’assoluta diversità e dell’irriducibile opposizione tra comunismo e fascismo – , ma permette una lettura più oggettiva di avvenimenti troppo spesso affrontati con una visione eccessivamente ideologica.
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LA RIVOLUZIONE IN CAMICIA NERA. Dalle origini al 25 luglio 1943, Milano, Mondadori, 2006 (Oscar Mondadori 2007).
Che cosa è stato il fascismo? Reazione o rivoluzione? In realtà, un fenomeno articolato e complesso, mutevole e contraddittorio. Contro il regime autoritario edificato negli anni Venti dal nazionalista Alfredo Rocco, resiste e si sviluppa il fascismo delle origini, rivoluzionario e totalitario, ostile alla restaurazione imposta dal primo. Sedotti dal potente mito della guerra come rivoluzione (mutuato dall’interventismo mussoliniano del 1914-15, dalle avanguardie politiche e artistiche, dall’anarco-sindacalismo, dal fiumanesimo), i fascisti rivoluzionari – ex combattenti, squadristi, sindacalisti e giovani della generazione successiva – non apprezzano né l’esito governativo della «marcia su Roma», giudicato un mediocre compromesso con il liberalismo conservatore, né il «ritorno all’ordine» seguito al discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925. Approvano invece la fine dello Stato liberale e l’instaurazione della dittatura, ma si battono per trasformarla da autoritaria e conservatrice in totalitaria e rivoluzionaria: il loro scopo è quello seppellire la «civiltà borghese» e fondare la «nuova civiltà fascista», una sorta di «terza via» alternativa tanto al liberalismo (e al capitalismo) quanto al comunismo.
In questa essenziale componente del fascismo (non riducibile a un ribellismo sterile, ma in larga misura progettuale, vitale, proiettata nel futuro, e di conseguenza quanto mai pericolosa, al di là della buona fede di molti suoi aderenti) spicca la figura di Giuseppe Bottai, già «ardito» e futurista, finissimo intellettuale e gerarca di primo piano, punto di riferimento significativo, negli anni Trenta, per la generazione cresciuta in camicia nera; la quale, tuttavia, appare ancor più stregata dal fascino magnetico del duce, a cui attribuisce la sua stessa volontà rivoluzionaria. A torto o a ragione? Quale fu il ruolo di Mussolini in questa vicenda?
Il libro ricostruisce e analizza, per la prima volta in modo organico, la genesi del fascismo rivoluzionario (fascismo non atipico o eretico ma, al contrario, ortodosso, strenuo difensore e fedele custode dell’ideologia, dei miti, dei programmi di quello delle origini) e la sua ventennale battaglia, che si conclude con una sconfitta. Infatti la rivoluzione sociale non decolla, quella antropologica fallisce, il sogno della «nuova civiltà» s’infrange ben presto sui fronti di guerra, travolto dalla disfatta militare subita in un conflitto (la seconda guerra mondiale) che avrebbe dovuto tradurlo in realtà. Un esito scontato? La trasformazione del fascismo in regime totalitario, realizzatasi progressivamente dalla metà degli anni Trenta, è stata un esperimento interrotto? E si può dire che il fascismo, figlio della prima guerra mondiale, sia stato ucciso dalla seconda? Domande, queste, che riaprono questioni tuttora irrisolte del nostro Novecento.
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RIBELLI D’ITALIA. Il sogno della Rivoluzione da Mazzini alle Brigate rosse, Venezia, Marsilio, 2017.
Perché in Italia una cultura politica riformista ha incontrato particolare difficoltà ad affermarsi? Per quale motivo persistono, nel nostro paese, oggi specialmente a destra, consistenti tracce di populismo e di estremismo? Perché abbiamo avuto il più grande partito comunista dell’Occidente? E su quale terreno affonda le radici il terrorismo, da noi così virulento?
Il tentativo di rispondere a queste domande non può prescindere da un’analisi della storia del nostro paese che ponga al centro il mito della rivoluzione. Un mito non soltanto italiano, ma che in Italia si è dimostrato particolarmente vitale e incisivo. Un’idea potente e trasversale, fonte allo stesso tempo di grandi speranze e di luttuose tragedie: la patologia di un secolo, il Novecento, segnato da guerre e totalitarismi.
Questo libro traccia un percorso che, dal Risorgimento agli anni di piombo, mostra la fortuna e la longevità della rivoluzione: «tradita», «incompiuta», via via corredata da varie denominazioni, così seducente e popolare da essere stata per tanto tempo, più o meno consapevolmente e strumentalmente, abbracciata anche da coloro che rivoluzionari non erano. Emerge con forza come, al di là della volontà di uomini, partiti, élites intellettuali, spesso mossi da sincere intenzioni di rinnovamento e di giustizia sociale, il richiamo alla rivoluzione abbia avuto esiti deleteri e abbia costituito un ostacolo rispetto all’affermazione di una cultura politica autenticamente democratica e riformista.
Narrativa
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Solleone di guerra, racconti, prefazione di Carlo Lizzani, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2008.
Dal risvolto di copertina
Fascismo e comunismo, guerra e rivoluzione: le speranze, le passioni, la tragedia raccontate da chi le ha vissute. Donne e uomini, gente del popolo e intellettuali: undici personaggi, e ognuno con una sua storia, che hanno marcato un segno cruciale nella vita dell’Autore. Compresi quelli incontrati sui libri e nel corso delle proprie ricerche, quali Marcello Gallian e Berto Ricci. Nel racconto centrale, Nel sole di Budapest, Paolo Buchignani viene direttamente sulla scena per rievocare utopie e tensioni che hanno attraversato gli anni fra la coda del ’68 e gli albori del terrorismo. Undici capitoli che si può dire costituiscano un “romanzo di formazione”. Buchignani di proposito è ricorso ad una tecnica da fiction per la necessità di portare alla luce ciò che resta in ombra nella sua opera di studioso: la collisione della Storia con le esistenze individuali e le ferite tuttora aperte nella carne viva del ventesimo secolo.
Dalla prefazione di Carlo Lizzani:
“Leggere Solleone di guerra è stato per me come entrare nel laboratorio di uno storico, e osservare da vicino, con una serie di zoom, quella ragnatela di vicende, di personaggi “umili” e potenti che poi il vero e proprio lavoro storiografico è impegnato di volta in volta a ricomporre in una mappa ampia e panoramica”.
Dalla postfazione dell’autore:
“Negli ultimi anni, mentre andavo raccogliendo il materiale che sarebbe confluito nel volume La rivoluzione in camicia nera, m’accorgevo quanto quella ricerca avesse il potere di risvegliare in me una folla di personaggi, di emozioni, di immagini da cui non riuscivo a liberarmi: erano più forti di me. Iniziai a stendere i primi racconti accorgendomi che quanto avevo dentro convergeva con le parole, prendeva forma e diveniva racconto; quel racconto non poteva trovare spazio all’interno di un saggio storico di taglio scientifico: aveva una sua autonomia, una sua vita, inseguiva personaggi che nascevano da sé, frutto di intuizione e fantasia, mentre altre situazioni poggiavano, sebbene trasfigurate, su alcune vicende del mio vissuto. Poco a poco il susseguirsi delle trame mi dava la sensazione di essermi inoltrato in un mondo nuovo, che avrei meglio conosciuto lasciandomi trasportare dal flusso degli eventi narrati. Quasi senza accorgermene, proseguivo nel lavoro così come lo avevo iniziato. Una sorta di corsa dentro un cerchio che si sarebbe chiuso da sé: questo libro”.
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Il santo maledetto (romanzo), Bologna, Meridiano Zero, 2014
Una storia originale, raccontata con un linguaggio rapido, fluido, efficace. Una storia avvincente per ogni lettore, attratto, fin dalle prime righe, dal mistero del protagonista, un personaggio avventuroso e tragico, una vittima di quei miti che lo seducono adolescente e che hanno segnato a fondo il ‘900 italiano: la guerra, la violenza, la rivoluzione, l’innamoramento per il Duce.
Una storia tanto più interessante in quanto, in larga misura, realmente accaduta (ciò che è inventato è del tutto plausibile, forse più vero che se fosse vero). Ribelle, vitalissimo, fanatico, condannato (forse vocato) all’emarginazione, ad incarnare i vagabondi allucinati dei suoi romanzi dinamitardi, Gallian è una specie di picaro, che attraversa, puro e disarmato, vicende cruciali del ventesimo secolo: la Grande Guerra, l’avventura fiumana di D’Annunzio, il biennio rosso e l’avvento del fascismo, il regime fascista, il secondo conflitto mondiale, il convulso dopoguerra; ma anche ambienti e mondi diversi: dai ricevimenti a Corte (lui, nobile, figlio del Console di Turchia) alla Roma anarchica di Malatesta, dal monastero vallombrosano di Firenze (dove entra a sedici anni per diventare santo e salvare il padre adultero dalle fiamme dell’inferno), al regno anarchico di Fiume, dai bassifondi romani, fra miseria, postriboli e conati di rivolta, alla “marcia su Roma”; da Palazzo Venezia alla Stazione Termini (a partire dal ’44), dove traffica con la borsa nera e vende sigarette, fra ladruncoli e accattoni; ma, in quel periodo, spinto dalla fame, traffica anche coi “ladri d’anima” (illustri personaggi, tutti ex fascisti, che firmano libri e articoli da lui scritti); e poi ancora la vita da barbone, il tentativo di suicidio e, infine, di nuovo il monastero, ma senza convertirsi mai…(uno strano frate, che forse bestemmia)
Incrocia personaggi come Vittorio Emanuele III e Mussolini, D’Annuzio, Marinetti (e altri futuristi), Galeazzo Ciano; ma anche scrittori e poeti come Moravia e Ungaretti.
C’è poi l’amico-nemico, Spartaco, all’inizio anarchico come lui, poi divenuto comunista (si scontreranno nella epica battaglia di Civitavecchia del ’22, fedelmente descritta), due amici rivoluzionari su fronti contrapposti (e qui, in modo assolutamente narrativo, senza forzature didascaliche, vengono fuori interessanti problemi politici, relativi, specialmente, al rapporto fascismo-comunismo).
Un agile romanzo storico incentrato sulla figura di questo singolare “santo maledetto”.
Santo non soltanto nel senso che vuole accedere alla santità per salvare il padre (e non può riuscire nel suo intento, perché è affamato d’azione e di sesso), ma anche nel senso che è un puro, un fanatico estremista (chiede a Mussolini – si veda il colloquio con lui – di edificare la “Città del sole” di Campanella); uno che cerca il paradiso in terra e trova l’inferno: un maledetto, appunto, drammaticamente condannato alla sconfitta e alla rovina nel Ventennio nero e nell’Italia democratica. L’interesse del libro non nasce dal nome di Gallian (poco noto), ma dalla sua sorprendente vicenda, capace di attrarre le più diverse categorie di lettori: dai più sprovveduti e digiuni di storia, agli storici e agli specialisti, che non mancheranno di coglierne la complessità e la ricchezza di spunti.
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L’orma dei passi perduti, Lucca, Tra Le Righe, 2021
Cinque racconti e un romanzo corale. La vita, la morte, l’amore, le inquietudini del nostro tempo e di ogni tempo. Domande radicali e passione civile. Storie avvincenti di uomini e donne, di esistenze individuali trascinate nel turbine della grande storia del ‘900. Una narrazione di memoria in bilico tra realismo tagliente e fuga nell’immaginario, tra lirica ed epica. E poi il ruolo centrale della natura, sempre presente: da un lato la grande madre che rasserena e consola l’animo tormentato dei protagonisti, dall’altro la trepidazione e il dolore per le ferite che le vengono inferte da una civiltà dei consumi rapace e insensata.
Alcuni giudizi sull’opera narrativa di Buchignani. Romano Bilenchi: «Questo è uno che guarda agli uomini e alle donne con la realtà con cui sono fatti, fino in fondo, e ne trae quella vita che era il massimo pregio dei vecchi scrittori russi e di tutti gli scrittori che hanno contato e che contano».
Geno Pampaloni: «A me sembra che la sobria malinconia e la musicale scrittura toscana siano qui notevoli». Da una lettera all’autore di Franco Fortini: «La sua prosa e i suoi temi sono intonati a quarant’anni fa oppure a una società di lettori avvenire e augurabile”.
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La spilla d’oro. Memorie da un secolo sterminato (romanzo), Roma, Arcadia Edizioni, 2024
La spilla d’oro era l’arma con la quale la giovane Esterina, ai primi del ‘900, si difendeva dai molestatori nel loggione del Teatro del Giglio di Lucca. Ai nostri giorni, il gioiello, con la sua punta acuminata, diventa lo strumento adoperato da Lapo, nipote di lei e studioso di storia, per forare i decenni del secolo scorso, esplorarli dall’interno in un viaggio in cui passato e presente si confrontano e s’illuminano a vicenda, sullo sfondo di una (in)sensata ripetizione della storia.
Una grande storia che interferisce con piccole storie, con personaggi umili e potenti: operai, contadini, intellettuali che intrecciano qui i loro destini, nell’affresco, vivido e a tratti vibrante, di un secolo che non sembra voler finire. Un secolo con le sue grandezze e le sue tragedie, i suoi nodi irrisolti e le sue ferite ancora sanguinanti, in cui guerra e rivoluzione, fascismo e comunismo, nazionalismi e populismi vecchi e nuovi investono le esistenze individuali e le sconvolgono con la forza della necessità.
Ne viene fuori un romanzo in cui la dimensione autobiografica e memoriale (Lapo è l’alter ego dell’autore e racconta episodi da lui vissuti o sentiti raccontare dalla nonna Esterina e dal padre Orlando) si coniuga efficacemente con l’habitus dello storico, rigoroso e al tempo stesso inquieto e civilmente impegnato, che interroga le vicende di una nazione con quelle personali e con le domande radicali dell’esistenza.
Paolo Buchignani mette qui a frutto le competenze maturate in lunghi anni di studio, con un vigore narrativo che rende vivi e veri gli uomini e le donne del passato e del nostro tempo, con le loro passioni, i loro miti, i loro drammi.